Battaglia del Volturno (26 settembre - 2 ottobre 1860)

Battaglia del Volturno (26 settembre - 2 ottobre 1860)

La battaglia del Volturno, può essere considerata l’ultima battaglia campale del Risorgimento prima della proclamazione del Regno d’Italia. La battaglia in se, è un insieme di azioni, anche distanti tra loro nel tempo e nello spazio, avvenuti tra la fine di settembre ed il 2 ottobre 1860 nei pressi del fiume Volturno, corso d'acqua dell'Italia meridionale che bagna Capua e sbocca in mare tra Napoli e Gaeta.
Viene comunemente intesa come uno scontro d’armi tra i Garibaldini e le truppe Borboniche, ma non è propriamente corretto, in quanto vi parteciparono numerose truppe straniere al soldo di SM il Re Francesco II di Borbone ed anche reparti regolari dell’Armata Sarda di SM il Re Vittorio Emanuele II
Lo scontro principale comunque si svolse il primo di ottobre a sud del fiume.
Furono impegnati in totale non meno di circa 24.000 uomini tra Garibaldini e regolari Sardi, contro i circa 25.000 Borbonici e mercenari


Alla battaglia, partecipò anche il brigante Carmine Crocco, allora sconosciuto disertore borbonico allineato tra i Garibaldini, che diventerà poi noto un capo brigante del periodo post-unitario detto del “Brigantaggio”
Questa battaglia inoltre è una delle più importanti del Risorgimento, non tanto per il numero dei combattenti coinvolti, ma soprattutto per i risultati che si ottennero da essa.
Giuseppe Garibaldi infatti, arrestò con essa la ripresa offensiva dell'esercito Borbonico dopo la sua riorganizzazione (vedasi truppe mercenarie) tra le mura della fortezza di Capua. Dopo di allora, l’esercito regolare Borbonico non costituì più un problema ed un ostacolo al processo dell’Unità italiana.
Nella sostanza, i Borbonici, bene armati ed equipaggiati, con buoni ufficiali subalterni e buoni soldati, vennero “fermati” più per la poca capacità del comando generale che per mancanza di valore. Al contrario, Giuseppe Garibaldi, comandava un insieme eterogeneo di truppe male equipaggiate ma sorrette da una catena di comando capace e preparata. Questa, era composta nella quasi totalità, da militari di grossa esperienza ed intuito tattico, e di grande ascendente verso le truppe. I soldati inoltre erano mossi dall’entusiasmo e dall’ideale superiore di “fare l’Italia”.

I Borbonici che intendevano tornare all’attacco, persero giorni preziosi in piccoli scontri di avvicinamento (segno che non avevano le idee chiare e poca fiducia nella loro considerevole forza) a tutto vantaggio dei volontari Garibaldini che ebbero tempo per prepararsi con cura sul terreno.
Così, dopo le scaramucce tra il 26 e 29 settembre, il 30 i Borbonici tentarono l’azione di forza con il passaggio del fiume Volturno presso Triflisco, per puntare su Santa Maria a Valgono. Qui però vengono arrestati dal fuoco di due compagnie della Brigata Spangaro, attestate nel borgo di San Lorio. Il primo ottobre però, il Maresciallo Generale Giosuè Ritucci, che comandava i Borbonici nel settore compreso tra Capua e il Volturno fino Caiazzo, si decise ad attaccare frontalmente e a fondo con due divisioni, la Afan de Rivera e la Tabacchi. Il suo intento era di rompere il centro dello schieramento garibaldino tra Sant'Angelo in Formis e Santa Maria Capua Vetere, raggiungere Caserta e di qui dirigersi su Napoli, con l’appoggio di due colonne laterali a protezione dei fianchi.
Le truppe al comando di Garibaldi, che sembrano disposte sul terreno in modo critico, occupando un fronte assai esteso, di circa venti chilometri, in realtà aveva lo scopo di proteggere le numerose comunicazioni per Napoli e Caserta, restando “fragile” ad una simile azione concentrata. Lo schieramento comunque, fortemente attestato sul terreno, vedeva sulla destra a Sant’Angelo i soldati comandati da Giacomo Medici, a Santa Maria Capua Vetere gli uomini di Milbitz, mentre al centro (a nord di Caserta) erano sistemati a difesa i volontari comandati da Gaetano Sacchi,  la riserva e il comando generale di Garibaldi con i volontari comandati da Stefano Türr. L'azione iniziò a ovest da parte dei borbonici che, incoraggiati dalla presenza dello stesso Re Francesco II e dei Conti di Trapani e Caserta, fecero ripiegare gli avamposti garibaldini ottenendo inizialmente un buon successo, tanto che lo stesso Garibaldi dovette mettersi alla testa di una compagnia della riserva, che con i volontari di Giacomo Medici, riuscirono a fatica a ristabilire e a fermare il fronte.
Intanto si continuava a combattere con accanimento a Santa Maria Capua Vetere, dov’era ferito lo stesso generale Milbitz e si segnalava la presenza della cavalleria ungherese del maggiore Scheiter accorsa da Caserta insieme alla brigata Eber della riserva comandata da Stefano Türr.
Si combatteva aspramente pure sulle colline a est da Monte Tifata. Qui lo scontro si protrasse tutto il giorno, e terminò soltanto a sera, quando i garibaldini riuscirono ad incendiare il palazzo dei Cocozza all' interno del quale c'èrano le provviste e le munizioni delle truppe Borboniche a Monte Viro. A Castel Morrone, la lotta fu così violenta, che l’intero 1° Battaglione volontario Bersaglieri, andò distrutto, ed il comandante Pilade Bronzetti cadde eroicamente alla sua testa.
Comunque intorno alle ore 18 i Borbonici furono costretti ad interrompere l’azione e a ripiegare, permettendo a Garibaldi di ripristinare la linea difensiva a Santa Maria-Sant’Angelo.
Altri scontri, a est, per il controllo dei Ponti della Valle, sulla via per Maddaloni furono sostenuti da con accanita difesa da Nino Bixio, il quale si dichiarò deciso a morirvi piuttosto che lasciarli al nemico. 
In questa situazione ancora incerta, il primo ottobre, lo schieramento garibaldino, venne nuovamente  attaccato dalla brigata estera del generale Von Mechel. Questi nei primissimi istanti dello scontro, perdeva addirittura il proprio figliolo che ricopriva il grado di tenente.
Bixio di fronte all'impeto delle truppe Borboniche, bavaresi e svizzere, dovette alla fine retrocedere con gravi perdite addirittura oltre il Monte Caro che sovrastava i ponti. Solo nel corso del tardo pomeriggio l’altura venne ripresa dal Colonnello Dezza con i battaglioni regolari dei Bersaglieri Menotti e Taddei. A questo punto il Von Mechel e le sue truppe, stanche da una giornata intera di combattimento ripiegano a nord oltre Dugenta.

Questo ripiegamento, mise la colonna Borbonica del Colonnello Perrone presso Caserta, in posizione critica, in quanto isolata da tutto lo schieramento con solo tremila uomini.
L’occasione non fu sprecata dai garibaldini, che tentarono di chiudere la partita e l’attaccarono a fondo la mattina del 2 ottobre. Il Colonnello Perrone però, non era uno sprovveduto, e messo di fronte alle truppe garibaldine con il concorso alle spalle del 1° Battaglione Bersaglieri regolari piemontesi, del Maggiore Soldo, non cascò nella trappola di accettare il combattimento e si disimpegnò abilmente ritirandosi a nord.
La battaglia si poteva dire conclusa tatticamente in parità. Nella pratica però, occorreva riconoscere che le velleità offensive Borboniche erano state bloccate, e per sempre !
Una vittoria strategica dei garibaldini dunque, che da quel momento infatti potevano contare sull’appoggio decisivo delle truppe regolari Sarde ormai giunte in Campania dal nord.