La Battaglia di Custoza (22 - 27 luglio 1848)

La Battaglia di Custoza (22 - 27 luglio 1848)

Il preludio a Custoza
Scontri di Rivoli e Corona

La battaglia di Custoza fu combattuta tra il 22 e il 27 luglio 1848. Si differenzia da tutte le precedenti ed anche dalle successive battaglie campali delle Prima Guerra d’Indipendenza italiana, perché non è uno scontro singolo o compiuto nel breve tempo di uno o due giorni, ma è l’insieme di una serie di azioni, anche disgiunte tra loro che abbracciano un tempo di ben 5 giorni, durante i quali non vi è sosta tra assalitore e assaliti. Austriaci e piemontesi si alternano tra loro in attacchi, difese e contrattacchi, con esiti che solo nella sommatoria d’insieme daranno la vittoria al “nemico” di sempre… l’Austria. Si evince da ciò e dalle forti perdite il perché questa battaglia divenne risolutiva, in quanto il piccolo esercito sabaudo perse in essa  ciò che restava del morale e della stessa forza fisica. In pratica, mentre ormai gli austriaci, con le spalle coperte e vie di rifornimento efficienti e libere, avrebbero potuto contare su forze fresche a cadenza quotidiana, i piemontesi, al di la degli errori tattici e del tempo perso dopo la vittoria di Goito, sapevano bene di aver dato fondo a tutto il materiale bellico ed a tutti gli uomini che avevano disponibili. Si trovavano sul Mincio a 200 km dai loro accantonamenti, ormai praticamente isolati e quasi mal sopportati da una popolazione, che, spenti i primi entusiasmi, vedevano anche in prospettiva di un ritorno nemico, gravare sullo loro spalle “l’ingombrante” presenza dell’Armata Sarda ! 


Il combattimento di Governolo del giorno 18 luglio, sebbene coronato dal brillante successo, fu più dannoso che utile ai piemontesi, perché allungò di un'altra diecina di chilometri lo schieramento del nostro esercito che, dalle alture di Corona e Rivoli si stendeva fino alla confluenza del Mincio con il Po ed era ovunque, ma specialmente alla sinistra, debole ma soprattutto non coordinato.
Di questa debolezza pensò di approfittare Radetzky, che disponeva già di 132.000 uomini, 250 pezzi d'artiglieria appoggiati da 3 fortezze per andare eventualmente a trincerarsi. Concepì il piano di impadronirsi di S. Giustino, Sona e Sommacampagna, spingersi fino al Mincio, tagliare i collegamenti tra i Corpi d’Armata di De Sonnaz e Bava per batterli separatamente. Dal Trentino il Generale Thurn, impegnando l'estrema sinistra sarda, doveva impedire questa potesse fornire aiuto al centro dello schieramento Piemontese.

La mattina del 22 luglio il Generale Thurn scendendo dal monte Baldo con due colonne, mosse con una contro Spiazzi e la Corona, l’altra contro Rivoli. Mentre a Spiazzi, i pochi soldati del Maggiore  Vitale furono costretti dalla schiacciante superiorità numerica a ritirarsi velocemente, il Colonnello Damiano a Rivoli, che poteva contare su quattromila uomini, tenne testa all’assalto di circa diecimila austriaci. Raggiunto dal Generale De Sonnaz in persona con due battaglioni in rinforzo (circa duemila uomini) e 4 pezzi di artiglieria il nemico fu nettamente respinto.
Nonostante il successo, De Sonnaz, comprese immediatamente che non si trovava di fronte ad un attacco locale, ma che la manovra aveva lo scopo di fissare le sue forze. All'alba del 23, abbandonò le posizioni decentrate di Rivoli, e ritirò le truppe a Cavajon, Calmasino e Sandrà.

Radetzky, lasciato a difesa di Verona il Generale Raynau, la sera del 22 era uscito dalla piazza con il grosso del suo esercito (quarantamila uomini e centocinquanta cannoni) diviso in tre corpi comandati dai generali D'Aspre, Wratislaw, Wocher, che dovevano assalire, durante la notte, la linea piemontese da S. Giustina a Custoza.
Questa linea era difesa dai seimila uomini posti al comando del Generale Braglia di Casalborgone.
La forza era estremamente eterogenea e comprendeva :
il 1° Reggimento della Savoia a Palazzuolo, a S. Giustina e nelle cascine di Colombara e Colambarolo,
il 2° Reggimento e un battaglione di Parmigiani a Sona e all'Osteria del Bosco, (difesa anche da quattro pezzi di artiglieria), un battaglione del 13° Reggimento Pinerolo e un Reggimento toscano comandato da Belluomini a Sommacampagna.


Lo scontro principale (Sommacampagna e Custoza)

Un fortissimo uragano fece rinviare l'attacco dalla notte del 22 al mattino del 23 luglio. Lo sforzo maggiore del nemico fu subito concentrato a Sommacampagna dove i Toscani e i Piemontesi resistettero valorosamente per ben tre ore. Sopraffatti dal numero e resisi conto di non poter ricevere in tempo utile dei rinforzi, ripiegarono su S. Giorgio in Salice. Quasi raggiunti dagli Usseri della Brigata Liechtenstein, furono costretti a proseguire la ritirata fino a Cavalcaselle, giungendovi a sera, simultaneamente con le truppe di De Sonnaz, che avevano abbandonato Rivoli.

All'Osteria del Bosco, a S. Giustina e a Sona i Piemontesi combatterono con estremo valore, ricacciando alla baionetta ogni tentativo avversario, il quale pur di vincere, ricorse anche a vergognosi stratagemmi.
Vittima di uno di questi fu il valorosissimo Generale D'Arvienoz, che, andato incontro a un grosso reparto nemico che sventolava bandiera bianca e gridava "Viva l'Italia ! Siamo fratelli !", fu circondato e, dopo un'accanita difesa, cadde in mano del nemico. Ferito al petto al ginocchio e rovesciato da cavallo, all'intimazione d'arrendersi, D'Arvienoz, gettando a terra la spada, gridò sdegnosamente : "Io non la rendo a dei traditori !"


La ritirata dell’Armata Sarda

Caduta la posizione di Sommacampagna, anche la resistenza di Sona, dovette cessare e il Generale Broglia ordinò la ritirata di tutta la linea verso la fortezza di Peschiera. Verso mezzogiorno del 23, il Feldmaresciallo Radetzky era già padrone di tutte le alture da S. Giustina a Custoza che riteneva fondamentali. Egli aveva però subito perdite elevato e non certo previste. Si spingeva comunque la sera stessa fino al Mincio.
A guardia del fiume e dei suoi guadi, stava la Divisione di riserva comandata dal Barone Visconti, il quale all'avvicinarsi del nemico, passava sulla destra del corso stesso rompendo i ponti di Borghetto e di Monzambano, così come collocava un battaglione davanti a Salionze per impedire agli Austriaci di traghettare in quel punto maggiormente favorevole.
Intanto De Sonnaz, che si trovava a Cavalcaselle, la mattina del 24 alla testa di circa dodicimila uomini si mise in marcia in direzione di Monzambano e Ponti per sostenere la Divisione del Barone Visconti.
De Sonnaz comunque pensava ad un’altra manovra dimostrativa, credendo improbabile che gli austriaci avessero davvero intenzione di passare il fiume con il fianco minacciato dal grosso delle forze di Carlo Alberto

Radetzky invece, impadronitosi rapidamente di Salionze, stava gettando un ponte di barche presso i Molini, e nonostante la reazione pronta di due battaglioni della riserva, portavano a termine il lavoro.
Giunto finalmente a Monzambano, De Sonnaz si accorse che il nemico era passato sulla sponda destra. Mandò il 14° Reggimento fanteria, la sezione toscana e la compagnia Cassinis a Ponti.
Giunte sul posto, queste truppe furono testimoni del crollo morale dei due battaglioni della riserva, che presi dal panico l'abbandonavano le posizioni. Non riuscendo a sostenere da sole la situazione, ripiegarono su Peschiera, impedendo la controffensiva che De Sonnaz intendeva portare su Molini e Ponti. Questi decise quindi di ritirarsi a Volta.

Carlo Alberto, fin dalla sera del 23, aveva riportato il suo quartier generale da Marmimolo, dopo averlo portato il 18, a Villafranca. Qui fu riunito il consiglio di guerra la mattina del 24 e, scartata subito l'idea di ritirarsi sulla destra del Mincio, fu deciso di attaccare il nemico sulle stesse posizioni che aveva conquistate il giorno precedente, quindi, convergendo a sinistra, cacciarlo sul fiume, tagliarli la ritirata di Verona e schiacciarlo.
Il piano era strategicamente ineccepibile, ma perché riuscisse occorreva impiegare il maggior numero possibile di truppe, togliendo l'inutile blocco di Mantova ed effettuando la congiunzione con il “Corpo” di De Sonnaz.
Questa manovra invece, per questioni di tempo, non fu possibile a farsi e il blocco fu mantenuto.
Alle due pomeridiane del 24 luglio Carlo Alberto usciva da Villafranca. Vi lasciava a presidio della città, il Comandante Manno con i volontari toscani e due battaglioni del Reggimento Pinerolo. Ordinava inoltre al Generale Sommariva di sorvegliare la strada di Valeggio, e al Generale Olivieri che comandava ventisette squadroni di cavalleria, di perlustrare il terreno sulla destra dello schieramento per tutelare il fianco delle fanteria, mentre Egli si avviò verso la valle di Staffalo con il grosso dell'Armata.
Questo era diviso in due colonne: una, composta delle Brigate Guardie e Cuneo, comandata dal Duca di Savoia (SAR il Principe ereditario Vittorio Emanuele) l'altra, formata dalla Brigata Piemonte, al comando del Duca di Genova (SAR il Principe Ferdinando).
Facevano da avanguardia una compagnia di bersaglieri ed una di volontari lombardi; seguivano cinquantasei cannoni. La brigata Aosta era rimasta di riserva presso Villafranca.
Quantunque gl'imperiali avessero il vantaggio delle posizioni e la superiorità numerica (circa 2 a 1), i Piemontesi assalirono con tanto impeto e combatterono con tanto valore che verso il tramonto furono padroni di tutte le alture attaccate. Le perdite furono piuttosto lievi : cinquantaquattro feriti e sedici morti, tra i quali il Maggiore Baudi di Selve; mentre più gravi furono quelle austriache : cinquanta morti, centoquattro feriti, millecentosessanta prigionieri, di cui quarantasei ufficiali, e due bandiere di Reggimento (queste bandiere della campagna del 1848-49, sono ancor oggi conservate presso l’Armeria Reale di Torino)

Lo scontro del 24 luglio, che prese anche il nome di “battaglia di Staffalo”, e avrebbe dato ben altri risultati all'esercito sardo se questo fosse riuscito a prendere anche il borgo di Valeggio. Le truppe però erano esauste ed affamate (l’ultimo pasto caldo era stato consumato quasi 24 ore prima) e si rimandò la conquista al giorno dopo.
Il Feldmaresciallo Radetzky, stupito di tanta energia e valore, ebbe comunque il tempo di rafforzarsi, di far giungere un'altra Brigata da Verona; di richiamare le truppe che erano passate oltre il Mincio, serbando però il possesso dei passi di Salionze, Monzambano e Valeggio; e di radunare sotto di sé un numero di truppe così rilevante che la vittoria sarebbe stata certa !

Per le manovre del giorno 25 luglio, Carlo Alberto e il Generale Bava avevano fatto il seguente piano: De Sonnaz, attraversato il Mincio presso Molini di Volta, doveva portarsi a Borghetto sopra Valeggio e assalir questo villaggio alle otto del mattino; quindi doveva poi aiutare le truppe dell'altro corpo che operava sulla sponda sinistra. Queste dovevano agire in tre colonne: la prima, composta della Brigata Aosta, guidata dallo stesso Carlo Alberto e assecondata dal Generale Bava, doveva assalire Valeggio a sinistra; la seconda, formata delle Brigate Guardie e Cuneo al comando del Principe Vittorio Emanuele, avanzando da Custoza, doveva puntare su Salionze per favorire l'azione dell'Aosta; la terza, che comprendeva la Brigata Piemonte e una quindicina di squadroni al comando del Principe Ferdinando Duca di Genova, partendo da Berettara e Sommacampagna, doveva puntare su Oliosi.

Carlo Alberto puntuale, assalì Valeggio alle 8 del mattino, ma i due figli (Principi) tardarono a muoversi a causa dei del ritardo dei viveri, non ancora giunti da Villafranca. Questi indugio, che causò il loro mancato contributo ed il completo effetto sorpresa sul nemico, diedero tempo al generale D'Aspre, che li fronteggiava con forze doppie, di intuire la manovra dei piemontesi, e di anticiparne la manovra prendendo l'iniziativa dell'offensiva contro le posizioni di Berettara, Sommacampagna e Custoza.

Il combattimento, impegnatosi verso le dieci, al centro e alla destra dell'esercito sardo, in poco tempo raggiunse una intensità ed una violenza fuori dal comune, e si propagò su tutta la linea. Poco riuscì a fare Carlo Alberto senza l’appoggio convenuto, ed anche a causa del forte concentramento d’artiglieria avversaria di Valeggio. Anche il Generale De Sonnaz, aveva ricevuto in ritardo l'ordine di muoversi, e non fu disponibile all’ora convenuta. Avvisò addirittura che non sarebbe giunto sul luogo convenuto prima delle sei del pomeriggio. Egli era quindi inutilizzabile nel momento più necessario. In tarda mattinata intanto, entrarono nel vivo della battaglia le truppe dei due Principi, facendo valere tutto il loro peso. Si impegnarono in modo superbo con estremo valore.
Il Duca di Genova Ferdinando, a Sommacampagna, respinse per tre volte il nemico numerosissimo alla baionetta e il Principe ereditario Duca di Savoia, al centro dello schieramento, riuscì addirittura ad impadronirsi di un'altura presso Valeggio ! Fu inutile, perché da solo e senza aiuti ulteriori, non poté comunque impedire agli Austriaci di occupare Custoza.

A quel punto la situazione cominciava a farsi assai difficile, la stanchezza, la superiorità numerica del nemico, una certa mancata cooperazione tra le colonne in movimento e non ultimo un certo abbattimento morale delle truppe, che ormai combattevano da tre giorni ininterrottamente, portarono Carlo Alberto a rompere il combattimento intorno alle cinque pomeridiane.
Vista l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati, ed anche solo di mantenere le posizioni su cui erano disposti, il Sovrano ordinò il ripiegamento. Ora gli austriaci, pur essendo quasi in numero doppio, non osarono disturbare la ritirata piemontese, tanto erano più stanchi ed esausti.
Pertanto il ripiegamento avvenne in ordine, e pur sconfitti, i piemontesi non avevano subito l’annientamento.

Si poteva dire che erano stati sconfitti dal numero, per logoramento.
L'esercito sardo ebbe 1339 uomini fuori combattimento, gli Austriaci 1320.

Durante la notte, poiché la posizione di Villafranca era insostenibile, le truppe che avevano preso parte alla battaglia di Custoza, i Toscani del Laugier e le truppe giunte da Governolo ebbero ordine di trasferirsi a Goito. Ancora una volta il movimento di ripiegamento fu eseguito impeccabilmente in ordine né il nemico cercò di intralciarlo. Vennero movimentati prima i feriti, i prigionieri e i convogli con la scorta di due battaglioni della Brigata Pinerolo e della Brigata Toscana. Le Brigate Guardie e Cuneo passarono per Mozzecane, Roverbella e Marengo; la Piemonte e l'Aosta per Quaderni e Massimbona. A protezione delle truppe in ritirata furono poste a Mozzecane la cavalleria e l'artiglieria da campagna, a Roverbella il 17° fanteria, tra Marengo e Goito la brigata sopraggiunta da Governolo. Da retroguardia fecero due battaglioni della Cuneo comandati dal Duca di Savoia.

Quando il Re ed il Generale Bava, giunsero a Goito nella mattinata del 26 luglio, vi trovarono il Generale De Sonnaz, che però, credevano a Volta. De Sonnaz aveva compiuto il movimento durante la notte tra il 25 ed il 26, a seguito di un biglietto, scritto a matita e firmato dal Colonnello Fecia di Cossato, sottocapo di Stato Maggiore Generale, con il quale gli si ordinava di sospendere la marcia su Valeggio, di sgombrare Volta e ritirarsi a Goito.

Il Colonnello Fecia di Cossato, negò di aver scritto quel biglietto, e nessuno mise in dubbio l’onestà di un vecchio soldato, attribuendone la paternità al Feldmaresciallo Radetzky.
Questo fatto però, mise a prova ancor più le comunicazioni, che non vennero più considerate “sicure”, e fecero andare a monte l’ennesimo contrattacco piemontese, che il Generale Bava aveva architettato per quel giorno. La sua intenzione infatti era di richiamare (finalmente) le truppe impegnate nell’inutile blocco di Mantova e di spiegarle sulle alture di Volta, Cavriana e Solferino e costringere gli Austriaci ad accettar battaglia con il Mincio alle spalle. Le truppe di De Sonnaz, a Volta avrebbero dato il loro contributo, ma, non essendoci più, tutto era da ripensare.

De Sonnaz sarebbe voluto ritornar subito a Volta per giungervi prima che l'occupasse il nemico; ma, essendo le sue truppe stanche e senza cibo, d'accordo con il Re e col Generale Bava, differì la partenza alle quattro pomeridiane; fu fatale.
Quando il Generale giunse finalmente alle sei del pomeriggio del 26 luglio 1848, alle falde della collina di Volta, questa era già in potere dei soldati del Liectenstein. Pur avvicinandosi la sera però, la Brigata Savoia andò subito all'assalto e riuscì anche a cacciare il nemico dalla parte alta della cima.
Divenuto scuro, il Maresciallo Liechtenstein si rinforzò ulteriormente con il congiungimento delle sue truppe con quelle di D'Aspre. I piemontesi intato, resisi conto della superiorità nemica, della mancanza di approvvigionamenti e delle forze che cominciavano a venire meno, si sfilarono al nemico. Albeggiava, quando le truppe del Generale De Sonnaz, che avevano ridisceso in silenzio le falde della collina, furono raggiunte in rinforzo dalla Brigata Regina mandata (purtroppo in ritardo) da Goito.
De Sonnaz, tento allora il tutto per tutto, fece dietro front ancora una volta e tento un nuovo assalto, ma il tentativo non riuscì per la superiorità numerica nemica. Dovette ripiegare su Cerlungo. La cavalleria austriaca si lancio all’inseguimento, ma fu ricacciata dai cavalleggeri del Savoia e del Genova.

L'insuccesso di Volta, dovuto a tutta una serie di misteri, malintesi e ritardi, fu l'ultimo e più grave colpo al morale dei soldati piemontesi. Carlo Alberto, costatate le condizioni del suo esercito e visto che non era più possibile non solo tentare la riscossa ma neppure sostenere subito un nuovo urto nemico, mandò, il 27 mattina, i Generali Bes e Rossi e il Colonnello La Marmora verso il Feldmaresciallo Radetzky  per trattare una tregua d’armi.
La risposta venne alle cinque pomeridiane. Il nemico avrebbe sospeso le operazioni a patto che Carlo Alberto si ritirasse oltre l'Adda, consegnate Venezia, Peschiera, Rocca d'Anfo e i Ducati, e posti in libertà tutti gli ufficiali prigionieri. Erano condizioni pesantissime per un avversario che aveva combattuto tanto valorosamente !


Proclama di Carlo Alberto alle popolazioni dell’Alta Italia

Inaccettabili le giudicò Carlo Alberto, che ordinò il ripiegamento dell’intera Armata dietro
l'Oglio. Da Bozzolo egli lanciò alle popolazioni dell'alta Italia il seguente proclama:

"Dopo vari combattimenti, nei quali il nostro esercito, nonostante l'inferiorità delle forze, seppe ottenere con mirabile coraggio non pochi successi, sopraffatto dal nemico, sfinito dalla stanchezza per le continue fazioni sotto un calore eccessivo e per la mancata provvista di viveri, perdette e ripiegò, ma in definitiva non riuscì a conservare le posizioni conquistate lungo il Mincio; accerchiato nei dintorni di Goito, si trovò ridotto ad una di quelle crisi terribili, nelle quali un supremo sforzo ha per effetto orrende stragi. In queste gravi circostanze; che premevano il nostro cuore come Re e come capo di quel prode e ben amato esercito, sentito un consiglio di guerra, cercammo di porre un termine a tanto spargimento di sangue con il proporre al nemico una sospensione d'armi. Ma le condizioni poste furono tali da metterle nemmeno in discussione, dovendo esporci con voi e a compromettere l'onore e l'interesse della patria. Italiani ! Armatevi e provvedete al pericolo con l'energia che il pericolo aumenta nei forti. Eredi di tante glorie, preferite l'ultimo sacrificio all'umiliazione ed alla perdita della vostra indipendenza. L'esercito, sostenuto dall'amor patrio in mezzo ai dolori ed alle disgrazie è pronto ancora a dare per la patria quanto gli avanza di sangue, e spera che la Provvidenza non ci abbandonerà nella, difesa della santa causa cui è consacrata la mia vita e quella dei miei figli".

Ai soldati indirizzò nello stesso tempo quest'altro proclama:

"Le mirabili prove di coraggio nel combattimento, di forza nel sopportare i disagi che avete dato in questi ultimi giorni, mi hanno commosso profondamente. Il nemico pagò assai caro la conquista delle nuove posizioni: nella nostra ritirata portiamo duemila prigionieri e non si può vantare di un solo trofeo. Alla vista delle privazioni e degli stenti derivati dalla mancanza dei viveri, al pensiero di lasciar la Lombardia aperta a incursioni barbariche, l'animo mio cedette all'idea di cercare la sospensione delle ostilità; ma le condizioni che mi si proponevano, erano tali che ognuno di voi avrebbe dovuto arrossirne. L'onore dell'armata risplende in faccia a tutta l'Europa, nessuno potrà strapparglielo giammai, ed il vostro re ne sarà sempre geloso sostenitore. Fra brevi giorni ritorneremo a fronte di quel nemico, che molte volte abbiamo visto fuggire dinnanzi a noi: fra pochi giorni lo faremo pentire della sua audacia. Quei pochi che sregolatamente si sono sbandati, riprendano subito le loro file. Io conto su di voi con fiducia, o figli prediletti della patria, che versate il sangue per la sacra causa dell'indipendenza italiana".

Costretti alla ritirata, e continuamente incalzati dalle truppe austriache, i piemontesi cercarono nei giorni seguenti di costituire una linea difensiva appoggiandosi sul fiume Oglio, la le truppe era sfiancate e demoralizzate. Al Comando generale inoltre si era creata una frattura dovuta alle diverse vedute e prospettive : mentre Carlo Alberto sembrava ancora fiducioso e disposto a continuare la lotta, i generali, capeggiati soprattutto da Bava, erano ormai convinti dell’impossibilità di continuare la lotta in Lombardia, ed erano propensi a portare ciò che restava dell’Armata oltre il Ticino, pensando a difendere innanzitutto i confini del Regno di Sardegna.

Alberto Conterio