Scontri di San Fermo, Como, Bergamo e Seriate


Seconda Guerra di Indipendenza
Garibaldi ancora all’attacco…
Scontri di San Fermo, Como, Bergamo e Seriate

Senza dare tregua al nemico, che si era rinforzato a Como ed aveva messo gli avamposti ad ovest della città con la destra sulle alture di S. Fermo, la sinistra verso Civello e la riserva a Lucino, Garibaldi lasciò Varese la mattina del 27 maggio e mosse contro le posizioni austriache. Alle undici i Cacciatori erano ad Olgiate e il generale, lasciato il reggimento del Cosenz sulla destra, mandò a sinistra per le colline gli altri due, che per Gironico e Parè giunsero, verso le ore 15, alla Cavallesca.

Il compito di attaccare la difficile posizione di S. Fermo fu assegnato a Medici, che ordinò alla compagnia De Cristoforis, rincalzata dalla Susini-Millelire, di assalire il nemico di fronte, mentre la compagnia Pellegrino e i Carabinieri genovesi di Poggi sarebbe spettato l’assalto dalla sinistra, mentre alla compagnia di Vaccheri, sarebbe toccato sostenere dalla destra l'attacco e minacciare la ritirata avversaria.
L'azione ebbe inizio verso le ore 16, quando De Cristoforis, avanzando contro l'oratorio di S. Fermo, fu accolto da un fuoco intenso che lo costrinse a ripararsi dietro una cascina. Allora Medici fornì sulla sinistra l’appoggio di fuoco necessario, permettendo al De Cristoforis di riprendere l'attacco, rincalzato da Susini e sostenuto a destra dalla compagnia Magliavacca. 


L'assalto fu impetuoso e il prode capitano De Cristoforis, che con tanto valore aveva combattuto, non riuscì ad aver la gioia di veder la bandiera tricolore sulla posizione conquistata, perché rimase colpito a morte da una palla. I suoi uomini però non si persero d'animo e, guidati dal tenente Guerzoni, si lanciarono alla baionetta ed ebbero ragione del nemico.
Perduta la posizione di San Fermo, tutta la linea austriaca si ritirò verso Rondineto, inseguita dal reggimento di Medici, che, pur contrattaccato da rinforzi austriaci provenienti da Brescia, li respinse tutti alla baionetta. Intanto le alture sovrastanti Como furono occupate dai maggiori Bixio e Quintini, che contribuirono a tramutare la ritirata nemica in precipitosa fuga per sottrarsi all’accerchiamento in città. Questo ai "Cacciatori delle Alpi" di entrare a Como per Porta Sala alle 21,30. In concomitanza gli austriaci uscivano di città da Porta Torre con direzione Camerlata, dove, saliti sui treni si affrettarono a riparare a Monza. Medici inseguì il nemico con parte del suo reggimento fino a Camerata appunto, dove giunse verso mezzanotte senza più trovarvi il nemico.
All’alba del 28 maggio, Medici fu raggiunto dall’intera la Brigata.
Nella giornata del 27 maggio le perdite degli austriaci furono di 68 morti e 264 feriti; i "Cacciatori delle Alpi" ebbero 10 morti e 63 feriti. Alle sue truppe il generale Garibaldi lanciò il seguente ordine del giorno : "L'onore della giornata è toccato oggi al valoroso colonnello Medici e al suo valente 2° reggimento. Gli austriaci sono stati di nuovo messi in fuga, e i "Cacciatori delle Alpi" hanno mostrato un'altra volta valore e intrepidezza. Il 1° e il 3° reggimento hanno pure loro demoralizzato il nemico con i loro giusti tiri e il loro contegno sul campo di battaglia. Così essi hanno versato per la prima volta il loro tributo di sangue all'Italia in proporzione del resto della brigata".
Il giorno 28 maggio però, fu anche il giorno in cui Emilo Visconti Venosta indirizzava per conto di Re Vittorio Emanuele il seguente proclama alla popolazione della Lombardia :
"Cittadini ! Appena il Re Vittorio Emanuele, primo soldato dell'indipendenza nazionale, annunciò all'Italia di aver ripresa la spada, le popolazioni lombarde volgendo lo sguardo al Ticino domandarono il segnale dell'insurrezione.
Le ragioni dell'umanità e della prudenza e le generali necessità della guerra ci mossero a consigliare l'indugio, che voi accettaste, perché tutto è oggi disciplinato in Italia, la quiete al pari dell'azione. Ma ora gli indugi sono rotti, il prode generale Garibaldi venne a darvi quest'annuncio e dappertutto dinnanzi a lui le popolazioni insorgono e si pronunciano per la causa nazionale e per il governo di Re Vittorio Emanuele. Commissario di S. M. Sarda vengo a prendere il governo civile di questo spontaneo movimento. Cittadini ! L'insurrezione lombarda sarà animata da quel nuovo e mirabile spirito italico che con il segreto della concordia ci fa ritrovare il segreto della fortuna. Nessun disordine verrà a turbare il sublime spettacolo della libertà; nessun impeto cieco verrà a disordinare l'organismo civile del paese; nessuno spirito d'improvvida reazione presumerà di considerare come il trionfo di un partito quello che invece è il trionfo di una società tutta intera. Le guerre dell'indipendenza non si vincono che con gravi sforzi: vi sta dinnanzi l'esempio del generoso Piemonte che da undici anni profonde i più gravi sacrifici dietro quell'alta speranza che ora è divenuta una realtà. La nostra impresa è sicura, il prode esercito piemontese, guidato dal Re, viene in nostro soccorso; l'Italia si ordina per combattere la guerra dell'indipendenza. Napoleone III ha gettato sulla bilancia dei destini la spada della Francia, nostra sorella, e naturale alleata delle cause generose. Tutta l'Italia ci domanda la formazione di un forte Stato, baluardo della nazione, avviata ai suoi nuovi destini; i decenni voti del paese stanno per essere compiuti, e voi potete insorgere nella certezza di quest'invocata unione, gridando: Viva Vittorio Emanuele Re Costituzionale".

Il successivo 29 maggio, inviata una compagnia a Lecco per sostenervi l'insurrezione e un'altra lasciata a Como insieme a Gabriele Camozzi cui aveva affidato l'incarico dell'organizzazione militare, Garibaldi, con il resto dei Cacciatori fece ritorno a Varese e il mattino del 30 maggio proseguì alla volta del Lago Maggiore con il proposito d'impadronirsi del forte di Laveno, ancora in mano agli austriaci. Ciò gli avrebbe assicurato - una volta preso – le comunicazioni con il Piemonte e gli eventuali rifornimenti.
L'impresa piuttosto audace fu tentata nella notte del 30 maggio dal reggimento di Cosenz, ma per l'oscurità e gli errori delle guide, l'azione non riuscì. Garibaldi aveva pensato di ritentarla il giorno successivo, ma ricevuta notizia che l’austriaco Urban si avvicinava a Varese, tornò sui suoi passi alla volta di questa città. Purtroppo Varese, torno in mano al nemico (il giorno 31) prima di Garibaldi potesse intervenire, e il Maresciallo Urban, per punire Varese dell'entusiasmo con cui aveva accolto i "Cacciatori" inflisse alla cittadinanza una contribuzione forzata di tre milioni di lire, appropriandosi di tremila buoi, del tabacco, dei sigari e di tutto il cuoio presente in città.
Vista l’impossibilità di raccogliere in così breve tempo quella grossa somma, Urban, si era fatto consegnare come ostaggi dieci possidenti del luogo e per rappresaglia l'aveva fatta bombardare.

Queste notizie misero le ali ai piedi dei "Cacciatori", e già a sera del 31 maggio giungevano a Cuvio; il 1° giugno alle 13 erano di fronte a S. Maria del Monte. Il 2 giugno Garibaldi avanzò fino a Sant'Ambrogio, a quattro chilometri a nord-ovest di Varese, deciso ad attaccare il nemico che occupava le alture dominanti della città. Qui però dovette rendersi conto della sua inferiorità materiale. Egli infatti mancava del tetto dell’artiglieria necessaria, e invocato dai Comaschi, con fine calcolo sull’economia generale della guerra, sfilò davanti agli Austriaci, passando vicinissimo a Varese in direzione di Induno, Rodero, Uggiate e S. Fermo, portandosi a Como.
Qui i "Cacciatori" rimasero fino al 5 giugno. Nella notte lasciato il comando militare della città il maggiore Ceroni, Garibaldi si trasferì a Lecco imbarcando tutta la sua brigata su quattro piroscafi, sbarcandolo sulla sponda opposta del lago, per marciare in profondità alla volta di Bergamo intenzionato a portare a termine un colpo di mano; il 6 si fermò a Caprino e inviò un battaglione a Pontida; il 7 si avviò verso il Brembo, e il battaglione Bixio che precedeva la brigata in esplorazione avanzata, dopo alcune fucilate con gli austriaci occupò Ponte S. Pietro.

Dopo questo scontro la sorpresa non era più possibile e il generale, risalito il Brembo, si portò ad Almenno; qui appreso dai suoi informatori che il presidio della città era in partenza, all'alba dell'8 giugno entrò con tutta la brigata a Bergamo; ma gli austriaci erano già partiti, riuscì a catturare solo pochi uomini della retroguardia.
Avvisato che stavano per giungere da Brescia circa 1500 austriaci in treno, preparò un agguato per catturare queste truppe alla stazione di arrivo, ma il nemico, probabilmente avvertito in tempo, discese presso Seriate. Qui però, trovarono una compagnia di Cacciatori al comando del capitano Bronzetti, che senza perdersi d’animo per il forte divario numerico, affrontò il nemico alla baionetta, con tale impeto che costrinse una parte d’essi a fuggire verso Brescia e l'altra ad arrendersi. Questo eccezionale fatto d'ami è consacrato in un ordine del giorno del 10 giugno dallo stesso generale Garibaldi :
"Il capitano Bronzetti, alla testa della sua compagnia, terza del 1° reggimento, ha compiuto uno di quei fatti che sono unici nei fasti militari delle prime nazioni del mondo. Con soli cento uomini circa, assaliva un corpo nemico di oltre mille uomini a Seriate, lo sbaragliava e ne faceva molti prigionieri. Con uomini di tanta prodezza si può tentare ogni impresa, e l'Italia deve ricordarli eternamente".

L' 11 giugno la brigata dei Cacciatori lasciò Bergamo in direzione Martinengo, Palazzolo giungendo la mattina del 13 a Brescia, dov'era stata preceduta di un giorno da un drappello di volontari agli ordini del tenente Pisani. Il 14 Garibaldi elogiava lo sforzo compiuto dai suoi volontari nel seguente ordine del giorno :
"L'ultima massa ha provato quanto l'amore di patria può nel nostro cuore, giovani Cacciatori. Una marcia, salvo brevissime interruzioni, di due notti e un giorno, per strade non comode, sotto pioggia quasi continua, non ha potuto fermare un solo momento l'impavida risoluzione del dovere, di cui siete animati. L'Italia va superba di voi. Il nemico, intimorito, benché di forza assai superiore, non ardisce a cimentarsi con voi, e la gioventù lombarda elettrizzata dall'esempio, accorre ora numerosa a far parte della vostra schiera".

Alberto Conterio